venerdì 17 ottobre 2014

Roma: noi, prede dei nostri perché

Si dice che dopo aver toccato il fondo non si può che risalire. Sono ottimista di natura e voglio crederci. Il problema però non è se risaliremo ma quando.
Il nostro livello di “benessere sociale” si è notevolmente abbassato. A questo abbassamento hanno contribuito fattori esterni come smog, traffico ed inefficienze nei servizi al cittadino ma anche fattori che ci coinvolgono in prima persona tra i quali menefreghismo, inciviltà e rassegnazione.
Ci siamo assuefatti allo schifo (http://gianlucaruggeri.blogspot.it/2014/09/roma-noi-vittime-dello-schifo-quotidiano.html) ed è per questo che pur di tornare a respirare aria se non pulita almeno non male odorante, siamo disposti a far passare una risalita per una piccola passeggiata in collina.
Risaliremo dunque, ma sarebbe opportuno chiedere il meglio, puntare al massimo, riappropriarci della nostra identità di cittadini, combattere lo schifo che ci circonda e non contribuire a crearne altro.
Se parcheggio sulle strisce pedonali occupando uno scivolo per le carrozzine, creo un danno a quelle persone per le quali quello scivolo è stato pensato. Se lascio sul marciapiede un materasso usato favorisco il fenomeno dell’accattonaggio oltre che fornire un’idea malsana a quanti hanno in cantina una miriade di oggetti inutili dei quali sbarazzarsi e così via.
I primi a dover prevenire lo schifo siamo noi.
Sarebbe più opportuno che al nostro fianco avessimo persone preposte all’ordine pubblico che vigilassero su tutto ciò che non è lecito, ma poiché ho verificato in prima persona che il più delle volte siamo soli a combattere contro questi piccoli problemi quotidiani, allora cerco, per quanto mi è possibile di arginare alcuni comportamenti non consoni al bene civile. Il problema che si presenta oggi, non sarà più arginabile (e forse già non lo è più) tra dieci o venti anni. Se oggi non si risponde concretamente alle domande che seguono, il baratro sociale sarà inevitabile.

Perché lasciamo che bande di criminali portino sui marciapiedi persone mutilate o con malformazioni fisiche solo per impietosirci ed indurci così a donare qualche euro che nelle tasche degli sfruttatori diventano un ammontare enorme di denaro destinato alla criminalità? Perché nessuno si prende la briga di fermare gli sfruttatori ed evitarci queste scene pietose? Perché non vietiamo il rovistaggio nei cassonetti (forse a qualcuno fa comodo non dover portare in discarica rifiuti ingombranti…)? Perché non riflettiamo dieci secondi prima di lasciare l’automobile parcheggiata sulle strisce pedonali? Perché continuiamo a dare soldi ai bambini che nei vagoni della metropolitana fanno finta di suonare una pianola invece di stare a scuola? Perché se vige l’educazione obbligatoria dai 6 ai 16 anni, orde di bambini nomadi o comunque di provenienza Est Europea vagabondano per le stazioni o peggio ancora sono mandati a rubare nella metropolitana o sugli autobus più affollati nelle ore di punta? Perché nessuno agisce sebbene tutti sanno? Perché devo assistere al pietoso fenomeno di ragazzine con neonati in braccio che in ginocchio con voce stridula ed implorante ripetono un messaggio che recita più o meno così: “Sono ragazza di Bosnia con tre figli piccoli, vivo sotto i ponti e non ho da mangiare”. Perché non intervengono i servizi sociali? Perché ci ostiniamo a tollerare bancarelle di venditori abusivi di merce contraffatta? Perché c’è gente che acquista braccialetti tossici, occhiali con lenti in plastica che danneggiano la rètina, imitazioni di borse o portafogli che danneggiano l’economia italiana? Se ne parla al telegiornale ma non si interviene. E’ come se un poliziotto vedesse un ladro arrampicarsi su un balcone e dicesse: “Questo dei ladri è un bel problema, bisognerebbe risolverlo perché così non va bene” invece di fare tutto il possibile per arrestarlo. Troppi perché e nessuna risposta concreta. Me ne viene in mente un altro: perché si lascia ancora che tutto questo accada? 



lunedì 29 settembre 2014

Roma: noi vittime dello schifo quotidiano

L’unico modo per non vedere lo schifo che si sta impossessando di Roma, è rimanere chiusi in casa. A dire la verità un’altra soluzione ci sarebbe. Cambiare città. Se non addirittura Paese!
La prima ipotesi non è molto praticabile in quanto da un punto di vista fisico, restare chiusi in casa significherebbe un lento deperimento fisico e da un punto di vista psicologico porterebbe inevitabilmente alla depressione!
La seconda soluzione è decisamente la più romantica. Chi di noi non ha mai sognato di vivere in un’altra città o in un altro Paese, magari del Nord Europa dove, almeno per la maggioranza dei casi, tutto sembra funzionare alla perfezione? Di difficile realizzazione anche questa però, specialmente se si ha famiglia o un lavoro che non prevede trasferimenti.
Suggerimenti per altre vie di fuga?
In realtà io vorrei non fuggire.
Vorrei che con il buon senso dei cittadini e delle Forze dell’Ordine si ristabilisse quel piacere di vivere la città che oramai da troppo tempo è scomparso.
La stessa parola, Forze dell’Ordine, fa sorridere visto che di ordine ce n’è rimasto davvero poco e di forze non ne abbiamo più!
Dobbiamo però recuperarle queste forze, dobbiamo cercare di non farci sopraffare da tutto ciò che quotidianamente vediamo, lo schifo appunto!
Perché di questo si tratta.
Nel mio tragitto giornaliero da casa in ufficio devo percorrere circa cinquecento metri a piedi, prendere un autobus per una decina di fermate e scendere alla Stazione Termini per poi infilarmi nel tunnel che porta alla metropolitana, entrare nel vagone della linea A fino alla fermata Lepanto e una volta in superficie passeggiare per altri duecento metri fino a destinazione. In totale dieci chilometri con una durata media del viaggio di cinquanta minuti. A fine giornata stesso percorso a ritroso.
Nei primi cinquecento metri che separano la mia abitazione dalla fermata dell’autobus riesco a volte a contare almeno tre motivi di schifo: primo fra tutti è la presenza costante di motorini e scooter parcheggiati sul marciapiede nonostante a quell'ora della mattina, di posto per parcheggiarli come si dovrebbe ce ne sia in abbondanza. Proseguendo poi con lo schifo automobilistico, c’è sempre qualche incivile che lascia la propria automobile in sosta occupando lo scivolo per le carrozzine o per i disabili che, in attesa di trovare un punto dove il marciapiede si abbassa per potervi salire e proseguire senza rischi, si trovano costretti a transitare lungo la strada. La soluzione sarebbe semplice, esattamente come le due soluzioni proposte all'inizio di questo sfogo (si potrebbe chiamare “articolo” ma “sfogo” rende meglio). Nel tratto in cui iniziano ad esserci i negozi incontro puntualmente un signore seduto sul marciapiede con un bicchierino per racimolare qualche Euro che non finirà comunque nelle sue mani e un ragazzo di colore, sempre lo stesso, con un cappello in mano rovesciato come fosse un cestino, anche lui a cercare di “guadagnare” qualche Euro. Esiste una parola sola per questo tipo di attività: racket. Scommetto questo mio articolo, che potesse cancellarsi all'istante se non è così, che quei soldi, o almeno una gran parte di essi, non finiscono nelle mani di chi li chiede ma nelle tasche di chi li gestisce, di chi la mattina li accompagna lì e il pomeriggio torna a riprenderli, di chi accumula soldi in nero che noi elargiamo pensando che in fondo cinquanta centesimi per noi non sono nulla, di chi usa quei soldi per gestire loschi affari o peggio per finanziare un qualcosa di estremamente grande che sfugge alle ingenue menti di chi si fa muovere a compassione, ma che senza rendersene conto si rende involontario complice di una avanzata sempre più rapida di un mondo estraneo che si sta impossessando della nostra cultura e della nostra civiltà e che molto più rapidamente di quello che sembra, arriverà a colonizzare le nostro atrofizzato mondo.
Una prova di quanto detto? Una mattina mettetevi sul marciapiede o davanti ad un negozio a chiedere l’elemosina, sono sicuro (e se l’articolo non si è ancora autodistrutto vuol dire che avevo ragione e che potrei averla anche adesso) che improvvisamente arriverà un losco figuro e vi intimerà di andar via, perché quel posto è occupato! Stai a vedere che anche per elemosinare qualche soldo bisogna pagare il biglietto!
Mancano duecento metri alla fermata dell’autobus, proseguo e già mi sono passati davanti tre zingari con i loro passeggini modificati (al posto del seggiolino mettono uno scatolone di cartone) che rovistano nei cassonetti della spazzatura. Altro schifo! Di chi è la colpa se non nostra? Se noi continuiamo a lasciare per strada oggetti che fanno gola è logico che saranno oggetto di attenzione. Un ferro da stiro usato si deve portare nei punti di raccolta AMA così pure i vestiti usati devono essere messi negli appositi contenitori e così via. Mi è capitato di vedere qualche giorno fa due ragazzi di poco più di dodici anni che si introducevano dentro ad un cassonetto contenente spazzatura non riciclabile tirando fuori ogni cosa che trovavano, facendo sul marciapiede un’accurata selezione e lasciando lì per terra tutto ciò che avevano scartato. Risultato: puzza sul marciapiede, sporcizia e cassonetto rotto. Chi paga? Domanda retorica…
Finalmente arrivo alla fermata, solita decina di persone, l’attesa media è di circa dieci minuti, salgo, se riesco a sedermi apro un libro e per circa una trentina di minuti non penso allo schifo, anche se a volte anche sull'autobus la situazione non è proprio paradisiaca!
E’ arrivato il momento di scendere dall'autobus, non devo fare a spintoni perché siamo al capolinea ed attendo comodamente seduto che le persone più frettolose abbiano finito di spingersi.
La Stazione Termini, come un po’ tutte le stazioni, è un ricettacolo di bruttura, la patria dello schifo! Non mi riferisco ai poverini senza tetto che dormono l’uno vicino all'altro in qualche angolo più appartato, ma alle bande di malviventi presenti in grandissimo numero sia sul piazzale esterno che all'interno della stazione. Sempre le stesse facce, sempre gli stessi gesti, sempre le stesse ragazze (mamme?) sedute per terra con i neonati costretti a passare molte ore della giornata avvolti in un panno tra la polvere e la sporcizia, minorenni che crescono in questo modo, che percorrono avanti e indietro i vagoni della metropolitana con una pianola o una fisarmonica sgangherata invece di stare a scuola. Fenomeno preoccupante, perché con l’altissimo tasso di natalità presso le famiglie nomadi, in poco tempo saremo invasi da adolescenti che non avranno studiato e che dovranno campare di espedienti ai danni di noi, ancora una volta, ignari e dormienti cittadini! E poi sempre le stesse signore con cartelli scritti volontariamente in un improbabile italiano che illustrano la loro situazione, sempre le stesse ragazze che circondano i turisti mentre provano ad acquistare il biglietto del treno ai punti rivendita automatica come fossero addetti alle informazioni e sempre le stesse ragazzine più scaltre e veloci che tentano di borseggiare i malcapitati turisti in ressa per salire sul vagone della metropolitana. Che schifo! Chi controlla? Chi può fare qualcosa? All'interno della stazione ci sono pattuglie della Polizia, dei Carabinieri e della sorveglianza privata. Tutti sanno, tutti vedono, ma nessuno interviene. Al massimo si limitano a mandarne via qualcuno, ma dopo pochi minuti sono ancora lì e diciamoci la verità… tutti i giorni le stesse facce, tutti i giorni gli stessi sorrisi… Non sono poche le volte in cui mi è capitato di vedere queste persone chiacchierare con chi dovrebbe sorvegliare!
Accelero il passo, sono in ritardo, arrivo sulla banchina della metropolitana, ultimo trasbordo prima di giungere alla meta. Tanti i cartelli “Vietato Fumare” eppure almeno due o tre persone con la sigaretta accesa ci sono sempre. A volte ponendomi in modo cordiale sono riuscito a fargliela spegnere, altre volte l’ho segnalato agli addetti di stazione che mi hanno risposto “Lo sappiamo ma non possiamo lasciare la guardiola” oppure “Provi a dirgli di spegnerla”. In questi casi capisci come sia impossibile sconfiggere lo schifo! Se le persone che hanno in mano, o potrebbero avere, gli strumenti per combatterlo non fanno nulla per migliorare la situazione, allora ecco crescere quel senso di impotenza e di rabbia che ci porta a volte ad odiare questa città, mentre sarebbe molto più semplice viverla serenamente, amarla ed essere contenti di essere nati o cresciuti a Roma.
Io come arma ho le parole. Da sole non bastano però a cambiare le cose!

Ma se qualcuno avrà avuto la pazienza di arrivare a leggere quanto fino ad ora ho scritto (e se questo articolo non si è autodistrutto), allora vi invito a riflettere, a far caso a tutto ciò che non vi va bene, a tutte le situazioni che vi fanno storcere il naso e ad usare tutte le vostre potenzialità per contribuire quanto meno a diminuire lo schifo che ci circonda, perché se questo è il prezzo che devo pagare per vivere in quella che è riconosciuta come la più bella città del mondo, preferisco allora non pagare il biglietto e trovarmi un piccolo spazio di aria pulita in un altro sistema solare.

giovedì 28 agosto 2014

Roma: l'insostenibile leggerezza dei controlli nella metropolitana di Roma

Roma, 28 agosto 2014.
Ieri mattina intorno alle 11, alla stazione della metropolitana Piramide si sono verificati diversi furti di portafogli, telefonini ed altri oggetti di valore ai danni di malcapitati viaggiatori che, accortisi di avere i propri zaini o le proprie borse aperte, hanno dapprima imprecato verso gli autori del borseggio ormai dileguatisi, poi con fare rassegnato e tanta rabbia, sono andati a denunciare il fatto al più vicino posto di polizia. Questa scena si ripete ormai da troppo tempo. Accade infatti sempre più spesso di osservare sulle banchine delle più affollate stazioni delle linee A e B della metropolitana romana, bande di zingarelli e zingarelle, soprattutto ragazze minorenni, nell’intento di sfilare portafogli agli ignari e distratti passeggeri. Riconoscerle è semplice. Anche per occhi allenati. Portano in braccio dei fagotti che sembrano neonati, nascosti da coperte sotto le quali agiscono leste mani che si intrufolano nelle borse e negli zaini delle malcapitate vittime, per lo più persone anziane e turisti.

All’arrivo del treno puntano con lo sguardo coloro che ritengono più vulnerabili e, nel momento di maggior confusione, quando si aprono le porte dei vagoni per la salita e la discesa dei passeggeri, gli si buttano addosso e come in un gioco di prestigio, ecco il portafogli sparire.

Le cause di questo fenomeno sono da riscontrarsi nell’incapacità di chi gestisce il trasporto pubblico locale di fornire una risposta adeguata al crescente numero di viaggiatori che, specialmente in determinate fasce orarie, sono costretti a fare a spintoni pur di riuscire ad entrare nei vagoni; nell’utilizzo di treni obsoleti non più adatti a contenere un tale numero di utenti; nella mancanza di sorveglianza da parte di polizia, carabinieri o vigilanza privata e nella assenza di norme volte a prevenire e fermare questa situazione di vergogna per la nostra città.

Il personale di stazione, consapevole del problema, si giustifica così: “Lo sappiamo. E’ un fenomeno che si verifica da anni ma siamo impotenti” E ancora: “Sono tutti minorenni e privi di documenti. Li possiamo allontanare ma subito dopo li ritroviamo ancora qui”.

Un consiglio mi sento di darlo. Quando vedete queste bande di zingarelle, fate notare loro che le tenete d’occhio, coinvolgete i vostri vicini di viaggio avvertendoli del pericolo e così, sentendosi osservate non entreranno e almeno in quel vagone non vi saranno borseggi. Tutto ciò non porrà fine al triste fenomeno ma, in attesa che si faccia veramente qualcosa per restituire a Roma la sua bellezza ed il decoro che si conviene ad una grande città, il vostro portafogli per questa volta sarà salvo.

Le stazioni della metropolitana nelle quali è maggiormente attiva questa attività di borseggio, oltre a Termini sono: Repubblica, Barberini e Spagna per quanto riguarda la linea A e Piramide e Colosseo per la linea B.

mercoledì 6 agosto 2014

A Roma è di scena la Bellezza

In una delle sale del Chiostro del Bramante, dove è stata allestita la mostra dal titolo “Alma-Tadema e i pittori dell’800 Inglese. Collezione Pérez-Simòn”, vi è una scritta che recita: “E’ difficile restare arrabbiati quando c’è tanta bellezza nel mondo”.
Il mondo che ci aspetta dopo aver varcato i tornelli è in tutti i sensi impregnato di Bellezza. Ti circonda, ti inebria, ti stordisce a tal punto da farti dimenticare che fuori di lì esiste il mondo vero, la frenesia, il caldo, il tempo che scorre. Ci troviamo immersi nella spasmodica ricerca del Bello, nell’Arte allo stato puro. L’Arte per l’Arte che non si consegna al trascorrere della vita e non invecchia.
Vi troviamo capolavori di F. Leighton e J.W. Waterhouse, di D.G. Rossetti e J.E. Millais, rispettivamente fondatore e cofondatore della Confraternita dei Preraffaelliti, movimento artistico-letterario che affiancava alla devozione e all’attrazione verso i maestri del Rinascimento prima di Raffaello, i temi della letteratura inglese, nonché di Sir Lawrence Alma-Tadema i cui capolavori fanno da sfondo all’intera esposizione e che furono dipinti con l’intento di ricercare la bellezza ideale, pura e l’armonia visiva dell’opera.
Passeggiando tra le varie tele ci immergiamo nell’Inghilterra Vittoriana e in uno dei suoi aspetti più contraddittori: la donna. La donna come essere puro e come fonte centrale di ispirazione, sempre circondata dai fiori, altro punto centrale della mostra e tema ricorrente nella letteratura inglese di fine ottocento strettamente legata al culto della Bellezza, come ci dimostrano le prime righe del romanzo di Oscar Wilde “Il Ritratto di Dorian Gray”: Lo studio era pervaso dall'odore intenso delle rose e, quando tra gli alberi del giardino spirava la leggera brezza estiva, dalla porta spalancata entrava l'intenso odore dei lillà, o il più delicato profumo della rosa canina.
Ad aprire la mostra è un dipinto del 1890 di Alma-Tadema dal titolo “A Love Missile” dove la classicità di una villa romana con tutto il suo sfarzo, è lo scenario per esaltare la bellezza femminile, dai tipici tratti inglesi, rappresentata da una fanciulla sedotta dall’intenso profumo del mazzo di fiori che tiene in mano.
I fiori sono la quintessenza della bellezza, rappresentano il messaggio d’amore, lo specchio dei sentimenti, degli stati d’animo e passo dopo passo il loro profumo si percepisce a livello visivo ed olfattivo.
Proseguendo tra i vari quadri troviamo un capolavoro del 1895 di Arthur Hughes dal titolo “A Passing Cloud”, che raffigura una ragazza dall’aria triste con la testa appoggiata sulla sommità del caminetto, la mano destra sulla fronte mentre la sinistra stringe una lettera che evidentemente non le ha portato buone notizie. Il suo setter irlandese, simbolo di fedeltà, la guarda come a volerla rassicurare e sulla destra si notano un quadretto con una casa eseguita in punto croce, tipica occupazione delle fanciulle dell’Età Vittoriana ed una finestra dalla quale si intravede un giardino pieno piante e fiori i cui colori contrastano con lo stato d’animo desolato della ragazza.
Il titolo di questa opera è tratto da un episodio della commedia shakespeariana “I Due Gentiluomini di Verona”, quando Proteo paragona la sua tristezza per non poter sposare l’amata Giulia per volontà del padre, alle nuvole che in primavera offuscano improvvisamente il sole.
Una tela di grande forza espressiva è anche quella dipinta nel 1902 da John William Waterhouse, “The Crystal Ball” nella quale troviamo Agrippina che contempla con tristezza e rancore l’urna con le ceneri del marito Germanico avvelenato durante una campagna militare.
L’intreccio tra letteratura, storia e mito è molto frequente tra i Preraffaelliti e spesso si trovano quadri che hanno per titolo versi di poesie, come per esempio “Oh, For The Touch of a Vanished Hand” dipinto nel 1900 da Charles Edward Perugini che riprende i versi della poesia “Break, break, break” di Lord Alfred Tennyson, nel quale la mano sinistra della ragazza raffigurata è come se cercasse una mano di chi non c’è.
Anche il poeta inglese Algernon Charles Swinburne è presente nelle opere di questi pittori vittoriani, ed una sua frase: “Tutto il Paradiso dei Paradisi in un piccolo bambino” è fonte d’ispirazione per un quadro del 1891 di Alma-Tadema dal titolo “An Earthly Paradise” nel quale possiamo osservare una madre inginocchiata e protesa verso il proprio figlio, sdraiato in posizione supina su di un elegante divano di legno con cuscini beige e fiori profumati accanto. Ritorna il tema della donna vittoriana che ha tra i suoi compiti quello di dedicare tempo ai suoi bambini.
La visita di questo mondo nel quale siamo entrati sta quasi per terminare. Ci si può soffermare ad osservare su comode poltroncine un ultimo capolavoro di Alma-Tadema, un dipinto del 1888 dal titolo “The Roses of Heliogabalus” nel quale è rappresentata, a completamento della tematica portante della mostra, la scena in cui l’imperatore romano Eliogabalo, regnante col nome di Marco Aurelio Antonino, inonda i suoi ospiti con una cascata di petali di rosa talmente copiosa da farli rimanere soffocati. Questa cascata di fiori saluta i visitatori ma non li soffoca. Ci prepariamo a raggiungere l’uscita, non prima di aver letto nella sala adiacente un verso di una poesia di Walt Whitman: “Bouquet di rose da per tutto, oh morte, e io di rose ti copro”.
Le donne vittoriane, i fiori simbolo di amore e sofferenza, ville romane, ambientazioni orientali, ricerca della Bellezza, atmosfere gotiche. E’ stato bello perdersi in questo scenario per abbondanti due ore, lontano secoli dalla confusione e dai ritmi ossessivi della metropoli.

In cammino verso la modernità

Nulla accade per caso.
Il caldo di fine giugno o le piogge di luglio. La città che non si svuota più e la città che accoglie turisti. Le fontane romane che dispensano acqua a non finire e negozi che tentano di attrarre quanti più clienti invogliandoli ad acquistare a prezzi scontati ma non stracciati.
In questo scenario estivo, a due passi dalla Galleria Sciarra in Via Minghetti, all’interno del Museo Fondazione Roma, si è svolta la mostra dal titolo: HOGARTH REYNOLDS TURNER. PITTURA INGLESE VERSO LA MODERNITÀ.
La modernità è vista attraverso gli occhi di artisti che, fin dalla prima metà del 1700, iniziavano a comprendere cosa volesse dire entrare in una nuova era, fatta di imponenti costruzioni, di nuove scoperte scientifiche, di importanti invenzioni che porteranno la Gran Bretagna ad essere un punto di riferimento in tutta Europa per oltre un secolo.
Ad introdurci in questo scenario è un’opera del pittore italiano Marco Ricci, dal titolo “View of the Mall in Saint James's Park”. Questo olio su tela, dipinto probabilmente tra il 1709 e il 1710 ci catapulta in una passeggiata alberata e ci fa percorrere il lungo viale che porta alla metropoli londinese, della quale svettano a sinistra la Elizabeth Tower e a destra la St Paul's Cathedral che proprio in quegli anni veniva terminata. Il viale è molto affollato, perché il parco era il luogo preferito dalla borghesia per incontrarsi, passeggiare, parlare e decidere a volte importanti questioni.
Il così detto “Vedutismo” si arricchisce di un’altra opera importante, quella di Samuel Scott che come in una fotografia ante operam fissa sulla tela lo stato dei lavori della costruzione del ponte di Westminster alla data del 1742. Inconcepibile oggi l’idea di dipingere un cantiere, ma all’epoca in cui il dipinto fu terminato, la costruzione del ponte era percepita come un prodigio dell’ingegno umano e considerata l’opera più ardita d’Europa.
Degno di menzione è senza dubbio il dipinto che segue, quello di un altro pittore italiano, Giovanni Antonio Canal, veneziano, conosciuto con il nome di Canaletto. Dopo averci consegnato vedute di Padova e Venezia, si trasferisce a Londra firmando altri capolavori. Nel caso specifico ci chiede di soffermarci sotto un’arcata del ponte di Westminster ormai quasi terminato. Non possiamo fare a meno di alzare lo sguardo verso un luminoso cielo italiano che ha poco di anglosassone, ma che è simbolo di perfezione con la sua luce e il suo azzurro penetrante. La città di Londra divisa in due dal Tamigi ed un secchio che pende sulla destra del quadro, arricchiscono ancor di più questa tela di particolari e ci fanno capire che la città non dorme mai, il lavoro non si ferma. E’ la modernità a chiedere ritmi sempre più intensi.
Londra è una città moderna, i suoi artisti ne percepiscono la grandezza e ne sono orgogliosi. Questo orgoglio traspare dalle parole di Daniel Defoe nel suo racconto in tre volumi “A Tour Trough The Whole Island of Great Britain”, parole che non lasciano dubbi circa il punto di vista sulla modernità: “(…) nuove imprese commerciali, invenzioni, macchine, manufatti, in una Nazione che va avanti e progredisce sotto i nostri occhi. Tutto ciò apre nuovi scenari ogni giorno e fa si che l’Inghilterra mostri una faccia nuova e diversa”. La faccia nuova dell’Inghilterra della quale scrive ancora: “Dovunque andiamo e da qualsiasi parte guardiamo, osserviamo qualcosa di nuovo di significativo, qualcosa che val bene il soggiorno di un viaggiatore e l’interesse di uno scrittore”. Non poteva quindi che essere Londra lo specchio di tale orgoglio “(…) considero questa città, uno dei posti più gradevoli d’Inghilterra”.
Lasciamo per un momento la Letteratura per riprendere il cammino attraverso i corridoi della mostra alle cui pareti troviamo, per dare un senso di continuità alle parole di Defoe, ritratti di illustri uomini rappresentativi della modernità inglese come  Richard Arckwright, paffuto e brillante ingegnere e uomo d’affari che grazie alle sue invenzioni in campo manifatturiero contribuì non poco allo sviluppo dell’industria tessile durante i primi anni della Rivoluzione Industriale. Altro ritratto è quello di Letizia Ann Saga, prima donna a sorvolare i cieli di Londra e la passione per il volo, altra conquista della modernità, è impressa sulla tela di Julius Cesar Ibbetson dal titolo “The Ascent of Lunardi’s Balloon from St. Geoge’s Field, London” che celebra l’impresa dell’Italiano Vincenzo Lunardi che nel 1784 volò per più di due ore a bordo di una mongolfiera.
Tutta l’Inghilterra del tempo è catturata da uno spirito nazionalistico che rispecchia la fierezza di un Popolo nel pieno del proprio sviluppo economico, culturale ed artistico che non può non essere esaltato. Ecco dunque nella sala successiva la raffigurazione di due scene teatrali, una tratta dalla rappresentazione del Macbeth l’altra dell’Amleto, dipinte rispettivamente da Johan Joseph Zoffany e da Francis Hayman.
La mostra volge alla conclusione, resta da visitare l’ultima sala, quella che ci fa venire voglia di non andare via. A sinistra alcuni dipinti di Joseph Mallord William Turner tra i quali spicca “Paesaggio a Nepi, Lazio, con acquedotto e cascata” risalente al suo viaggio in Italia nel 1828, nel quale, quasi come un precursore del Simbolismo, cerca di raffigurare la luce del cielo italiano, una luce che lo colpisce a tal punto da essere motivo, qualche anno più tardi, di un suo nuovo viaggio in Italia. Non è certo la luce il tema principale delle opere di John Constable, sulla destra, ma se osservando la grande tela di circa due metri di lunghezza dal titolo “Salisbury Cathedral from the Meadows” dipinta nel 1831, vi troverete immersi in quel paesaggio che state osservando, allora il pittore, l’artista più in generale avrà fatto il suo dovere, avrà smosso l’animo dell’osservatore spingendolo oltre, facendo diventare quella raffigurazione motivo di un viaggio.
Tutta la mostra in realtà è un viaggio. Questo peregrinare tra campagna inglese, cieli italiani, invenzioni, ritratti e parole celebrative di un’epoca fondamentale per il futuro sviluppo della Gran Bretagna, si conclude con una poesia di William Wordsworth dal titolo “Lines Written in Early Spring”: “Se questa fede ci giunge dal cielo, se questo è il progetto sacro della Natura, non ho allora ragione di lamentarmi di ciò che l’uomo ha fatto dell’uomo?” Ecco l’Artista che fa riflettere l’uomo. La gioia semplice ed incontrastata della Natura e la malinconia per qualcosa che sta cambiando. E’ il prezzo che si deve pagare. Noi leggiamo, osserviamo, ci emozioniamo e rattristiamo, percorriamo con la mente ancora una volta i corridoi della mostra prima di riconsegnarci al caos della grande metropoli, contraddittorio risultato della modernità.